Il circo nell'arte
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Il circo nell’arte

Il circo è un complesso mobile costituito da una serie di attrezzature smontabili, dove si fanno esibizioni, chiamate “numeri”, di acrobati, clown, animali ammaestrati,…; si svolge per lo più in una pista circolare, ma negli ultimi anni si svolge anche su una scena frontale.

Presso i Romani il circo era l’edificio destinato alle corse dei carri; talvolta vi si davano anche le lotte dei gladiatori soprattutto prima che si costruissero a questo scopo gli anfiteatri.

Il circo come lo si intende oggi è comparso in Inghilterra alla fine del XVIII secolo ad opera di Philipp Astley, cavallerizzo vissuto tra il 1742 e il 1814, che, di ritorno dalla guerra dei Sette anni, fece l’acrobata e diede vita a vari circhi e, nel 1794, rinnovò quello di Londra, che chiamò Astley’s Royal Amphitheatre.

Il circo fu inizialmente sede di giochi di audacia e di abilità, alternati a brevi intermezzi comici; nella prima metà dell’Ottocento ospitò pantomime e rievocazioni di grandi battaglie, per assumere infine la veste attuale.

Il successo del circo è dovuto al nomadismo di piccoli e grandi gruppi, alle colossali strutture dei circhi stabili delle capitali europee, al patrimonio di professionalità accumulato in alcune famiglie e all’abilità dei singoli artisti.

Nel XX secolo lo spettacolo del circo si è arricchito di nuove attrazioni come ad esempio le prove acrobatiche con l’impiego di veicoli a motore.

Successivamente, le campagne di sensibilizzazione promosse dalle associazioni animaliste a tutela degli animali, specialmente a partire dal 1990, hanno portato all’affermazione dei circhi senza animali, come il canadese Cirque du Soleil.

Il circo comprende molteplici discipline e narra vicende e stati d’animo e non si impegna solo a narrare ma anche ad essere raccontato, diventando il soggetto di diverse arti, quali ad esempio la pittura. Di fatto si possono rintracciare diversi dipinti il cui tema è proprio il circo.

Probabilmente, il primo esempio di spettacolo di strada è stato illustrato dal pittore fiammingo Hieronymus Bosch (1450-1516) il quale si dedicò a quadri di soggetto allegorico dove dipinse la follia, la disonestà e la depravazione degli uomini. Ne Il prestigiatore (1502, Museo Municipale di Saint Germain-en-Laye) Bosch rappresenta un borsaiolo che deruba uno spettatore durante uno spettacolo di prestigio.

Il tema del circo è stato più volte affrontato soprattutto nel corso del XIX secolo e del XX secolo da diversi artisti e grandi maestri della contemporaneità, che rappresentano il circo come metafora della vita, dando origine ad una rivoluzione del linguaggio e portando in scena il sogno, comune a pubblico, poeti e pittori, di essere proiettati fuori dalla banale realtà.

Il pittore francese Georges Rouault (1871-1958) è vicino al gruppo dell’avanguardia francese dei Fauves, ma si mantiene isolato e viene considerato il maggior pittore d’arte sacra di epoca moderna. La sua attenzione è basata principalmente ad un’umanità delusa, marginale e ritorna insistentemente sugli stessi soggetti: prostitute, clowns, ciarlatani, personaggi della Commedia dell’Arte. Tematica che l’artista tratterà per tutta la vita è quella del clown (Clown tragico, 1904: Montreux, collezione privata), come metafora tragica della condizione umana, cui spesso
l’artista associa la raffigurazione della Passione di Cristo o di Cristo deriso e oltraggiato (Cristo flagellato, 1905; New York, collezione privata), che risulterà tra i suoi temi più frequenti.

Il belga James Ensor (1860-1949), considerato, assieme ad Edvard Munch, tra i maggiori interpreti della stagione simbolista degli anni ottanta e novanta dell’Ottocento, ma anche precursore della pittura del Novecento, di cui anticipa l’esasperazione e la violenza cromatica tipica dell’Espressionismo. Fonti di ispirazione di Ensor sono stati il porto, il carnevale di Ostenda e la bottega paterna ricca di maschere esotiche. Tematica spesso trattata è la società con i suoi aspetti negativi: indifferenza, dolore, paura e solitudine, come si può evincere dall’opera Il mio ritratto con maschere (1938, Menard Art Museum, Komaki City, Japan), dove vengono rappresentate tante maschere, anche un po’ spaventose, al centro delle quali si vede una faccia umana: è l’autoritratto del pittore stesso, che si dipinge al centro di un’umanità strana, anche spaventosa, mascherata e non ha paura di mostrarsi fiero e impegnato a dire, attraverso la sua arte, la verità. L’opera rappresenta uno spettacolo di colori, di facce, di strane espressioni. I colori sono vivi e sgargianti, proprio come piace a Ensor. L’unico volto serio è quello del pittore stesso, che si guarda attorno e sembra alla ricerca di ciò che è autentico.

Georges Seurat (1859-1891) è probabilmente l’unico pittore ad interessarsi realmente al problema scientifico della percezione e dalla teoria sul “contrasto simultaneo dei colori” fa discendere la pratica dell’accostamento dei complementari, dando origine alla corrente artistica del Pointillisme. Seurat è autore de Il Circo, eseguita nel 189, esposta quell’anno al Salon des Indèpendants e lasciata incompiuta, oggi conservata al Museo D’Orsay di Parigi. Circo si presenta, infatti, come una delle più grandiose attuazioni delle ricerche divisioniste. L’opera è rivela un rigoroso reticolo di verticali ed orizzontali. Due spazi si sovrappongono: da una parte quello della pista e degli artisti, ricco di curve, arabeschi stilizzati e a spirale, in tensione dinamica, addirittura in squilibrio; dall’altra quello delle gradinate e del pubblico, rigido, ortogonale, immobile, di una rigorosa geometria. Anche l’ordine dei colori obbedisce a regole precise: il colore primordiale, quello della luce pura, il bianco, domina la tela. La tavolozza abbina poi le tre tonalità principali: il rosso, il giallo e il blu modulati in piccoli tratti metodici che richiamano il ritmo delle linee. Seurat delimita infine il suo quadro con un bordo sobrio dipinto direttamente sulla tela e con una cornice piatta realizzata con la stessa tonalità di blu e che fa parte integrante dell’opera. L’artista costruisce il suo dipinto con sapienza e il maggior effetto prospettico è dato dalla figura del clown in primo piano, visto di spalle, piuttosto che dall’architettura dei palchi che circondano la pista circolare. Questo quadro è la riproduzione di un momento nel Circo. È presente una cavallerizza che sta eseguendo la sua acrobazia sul cavallo; dietro c’è un acrobata truccato, seguito da un pagliaccio e da un domatore. Seurat riproduce fedelmente la distinzione in classi sociali degli spettatori, che acquistavano il biglietto a prezzi più alti quanto più i posti erano vicini alla pista; infatti uomini e donne ben vestiti si trovano in basso e i meno abbienti occupano i posti in alto.

Henri de Toulose Lautrec (1864-1901) è un pittore del tardo Ottocento, post-impressionista e illustratore, simbolo della vita mondana e bohémienne parigina. I temi prediletti dal pittore furono i locali parigini di Montmartre (bar, locali notturni, teatri quali i celebri Moulin Rouge e Le Chat Noir, ritrovo per gli artisti) quali luogo di divertimento delle classi inferiori, le attrici, stelle degli spettacoli popolari rappresentate nei manifesti e nei dipinti, che ne alimentarono la notorietà, i bordelli. Tra gli anni Ottanta e Novanta si dedicò inoltre al tema del circo, dal quale nacquero celebri opere quali, ad esempio, Al circo Fernando (1888, Chicago, The Art Institute) e Il trapezio volante. L’opera Al circo Fernando è eseguita con una tecnica particolare per cui il colore ad olio con sfumature ad acquarello è applicato in modo da lasciar trasparire le linee del disegno sottostante.
Altra opera interessante di Toulouse-Lautrec è Donna pagliaccio seduta (1896). Commercialmente fu un fallimento, sia per il tema che per il prezzo richiesto; infatti nessuno degli esemplari stampati venne venduto. Si trattava solo rappresentazioni di scorci di vita vissuta, immagini di donne che lavoravano nelle case di tolleranza o come in questo caso al Moulin Rouge. In questa litografia la donna ritratta è una ballerina che si esibiva in vari ruoli fra cui quello dell’acrobata, contorsionista, pagliaccio. La donna è stata ritratta mentre era seduta, in un momento di riposo, fra un’ esibizione e l’altra. Il suo è uno sguardo ironico e distaccato; il fatto che sia posta al centro dell’immagine accentua ancora di più il suo carisma che traspare dal suo volto.

Pablo Picasso (1881-1973) è un altro grande artista che rappresenta il tema del circo. Difatti, dalla fine del 1904 all’inizio del 1906 i lavori di Picasso sono incentrati su un singolo tema: i saltimbanchi o artisti di strada. Il populismo amaro del “Periodo Blu” ha lasciato il posto ad un mondo più idillico e sereno, ispirato prevalentemente alla vita del circo. Agili figure di acrobati, patetiche immagini di bambini, figure corpulente di clowns e di fragili ballerine, si dispongono nel quadro con una grazia di balletto, ubbidendo a ritmi armoniosi che la lieve, elegante grafia asseconda e accentua; e il colore si vale delle sfumature più tenere e chiare. Nelle opere di questo periodo (Madre e figlio, Ragazzo con cane, I due fratelli, Acrobata e giovane equilibrista e numerosi ritratti di una sua compagna, Fernande Olivier), prevalgono i colori rosa e rosso, accostati all’ocra e al blu. Seguiranno numerosi dipinti di figure isolate e statiche, in genere nudi, la cui dominante cromatica ha sempre un valore emozionale. L’ispirazione fu probabilmente fornita a Picasso dalle esibizioni del Circo Medrano, che l’artista frequentava poiché questo circo si trovava a pochi passi dal suo studio a Montmartre. Così nel 1905 Picasso dà origine a Famiglia di saltimbanchi (1905, olio su tela, 212cm x 229cm, Washington, National Gallery of Art), uno dei capolavori del cosiddetto “Periodo Rosa”. Gli artisti circensi erano allora considerati degli “outsider”, poveri ma indipendenti. Come tali, per un artista di avanguardia come Picasso essi rappresentavano un simbolo. Picasso rielaborò Famiglia di Saltimbanchi diverse volte, aggiungendo figure e modificando la composizione. Le figure occupano uno scorcio desolato, e sebbene Picasso le abbia strette l’una all’altra, esse appaiono tutte psicologicamente isolate fra di loro e dallo spettatore; prevale un senso di introspezione e di triste contemplazione.
L’opera Madre e figlio (1906) rappresenta una madre siede a un tavolo accanto al figlio che indossa ancora il costume da scena. Tra madre e figlio non si instaura alcun tipo di comunicazione, gli sguardi languidi non si incontrano e si perdono nel vuoto, eppure la tela riesce a infonderci una sensazione di profonda dolcezza e intimità. Picasso riprende qui l’iconografia cristiana della Madonna con bambino e la trasforma in chiave moderna in una coppia di artisti da circo.
Nell’opera I Due Fratelli (1906) il fraterno aiuto mette in comunicazione le due figure che, anche se velate di malinconia, sono lontane dalla desolante solitudine della precedente fase creativa. La nudità esprime qui tutta la freschezza e la salute del giovane circense. La solidità delle figure e della composizione ricordano quelle delle statue greche arcaiche. Il volume dei corpi viene modellato con un caldo rosa dalle sfumature mediterranee.

Fernand Léger (1881-1955) è una delle figure più rivoluzionarie del panorama artistico internazionale. A partire dal 1917 sviluppò una personale interpretazione del cubismo tesa a “costruire” il volume con l’aiuto di forme dinamiche, rotonde e cilindriche come quelle degli ingranaggi industriali. Questa intuizione gli permette di creare il cosiddetto “Costruttivismo” caratterizzato da fondi piatti e pregni di una geometria sferica e dal movimento lento e concentrico con colori accesi racchiusi in forti contorni neri. Il suo interesse si concentra su temi di carattere sociale e comincia ad interpretare il circo utilizzando i soggetti descritti da un punto di vista quasi “meccanico”, come se gli artisti fossero dei robot. Nel 1934 dipinge soggetti circensi marcatamente astratti, ma solo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale dipingerà in termini più figurativi. E’ il caso dell’opera di notevoli dimensioni La grande Parata terminata nel 1954, preceduta da una serie di dipinti autonomi, di bozzetti e disegni preparatori con particolari di acrobati, clowns e cavallerizzi. La grande Parata è un’ opera che chiude il cerchio di una ricerca artistica unica ed esaltante sul circo.

Marc Chagall (1887-1985) è stato un pittore russo naturalizzato francese, d’origine ebraica. Inizia l’attività in Russia, ma è durante il suo primo soggiorno a Parigi che rimane colpito dalle ricerche sul colore dei Fauves e da quelle di Robert Delaunay. Il suo mondo poetico si nutre della fantasia infantile e alla potenza trasfigurante delle fiabe russe. La semplicità delle forme, lo collega al primitivismo della pittura russa del primo Novecento e lo affianca alle esperienze di Natal’ja Sergeevna Gončarova e di Michail Fedorovič Larionov. Chagall sceglie il punto di vista dell’infanzia e riproietta i propri ricordi e le proprie emozioni attraverso l’occhio incantato del bambino. Il mondo privo di gravità consente a meravigliose creature di librarsi nel cielo, come angeli. “Ho sempre considerato clown, acrobati e attori come creature tragiche. Ai miei occhi assomigliano alla gente ritratta in certi quadri religiosi. Ancora oggi, quando dipingo una crocifissione o un altro quadro religioso, mi assalgono gli stessi sentimenti di allora, quando ritraevo la gente del circo. Eppure non c’è niente di “letterario” in questi quadri, ed è difficile spiegare perché io trovi una rassomiglianza psico-plastica fra queste due arti della composizione”. Con queste parole Marc Chagall ha descritto il suo rapporto con le immagini circensi che sovente ha realizzato, un rapporto di ispirata “simbiosi” che ha attraversato tutto il suo percorso artistico. Difatti, Chagall ha rappresentato diverse volte il circo, come L’acrobata (1914), Il giocoliere (1943), Il circo blu (1950-1952), Le cheval de cirque (1964), Le Cirque (1967), Le grand Cirque (1968). Tra l’altro Marc Chagall vive la sua infanzia povera e felice in Russia con un padre che lavora duramente sotto padrone nella conservazione del pesce, un’attività che pochi svaghi può consentire. Per la Russia di quei tempi, il circo rappresenta un mondo imprescindibile, il fantastico che si fa realtà, il mito che diventa storia, un momento di disimpegno dalla crudezza della quotidianità sociale.

Alexander Calder (1898-1976) nasce in America, da una famiglia d’artisti: la mamma ed il nonno lo incoraggiano fin da piccolo a fabbricare giocattoli per sé e per la sorella con materiali di scarto, filo di metallo, perline e rimasugli di stoffe. Dopo un laura in ingegneria, decide di dedicarsi alle arti visive. Mentre studia, collabora con la National Police Gazette, per la quale realizza alcune illustrazioni dello storico circo dei Barnum&Bailey. Nasce probabilmente da questa esperienza la sua passione per il circo. Fra il 1926 e il ’31 Calder realizza e porta in giro uno straordinario gruppo di oggetti, personaggi, strutture e animali realizzati in filo di ferro, legno e stoffe: il famoso Cirque Calder, oggi di proprietà del Whitney Museum di New York. Nato come un giocattolo, consunto da tutte le rappresentazioni dell’artista, oggi il Circo Calder è un’opera d’arte. E’ stato oggetto di un delicato e particolare intervento di conservazione e ripristino che ha visto coinvolti restauratori specializzati del museo. Nel Cirque Calder ci sono clown, acrobati, prestigiatori, domatori e bestie feroci, circa 70 personaggi in tutto, funzionanti per mano dello stesso artista che, oltre a ricreare il tendone, il trapezio e l’arena circense si diverte a portare in giro la sua opera e a inscenare veri e propri spettacoli con le sue creazioni. Ogni volta è un nuovo show, tessuto su un canovaccio fisso di numeri e movimenti che le sue piccole opere possono compiere: la danzatrice del ventre ruota sensuale su se stessa, il domatore infila la testa nella bocca del leone, gli acrobati saltano sui trapezi, e così via. E’ lui che interpreta tutte le parti, commenta lo spettacolo, suona gli strumenti da lui stesso realizzati.


Alexander Calder divise equamente la scena artistica di inizio Novecento con un altro grande maestro: Paul Klee (1879-1940), anch’egli figlio d’arte e più precisamente di genitori musicisti, che lo crebbero nell’esercizio di una sensibilità che ne fece un artista dalle molteplici sfaccettature.
Nel 1923 Klee realizza un’opera intitolata Il funambolo, uno dei protagonisti del circo. La ricerca di un equilibrio fra visibile e invisibile, fra opera-natura-uomo, è uno degli elementi chiave della poetica e dell’insegnamento di Klee. L’artista, come il funambolo, cerca il suo equilibrio: il mondo fisico sembra immobile e stabile ma in realtà le cose sono in movimento perpetuo. Lo stesso vale per l’opera d’arte, per il processo di creazione.

Fernando Botero (1932) è un colombiano che ha assimilato la grande pittura italiana, quella solida, precisa, ben architettata, alla ricerca di una forma perfetta. La “rotondità” delle sue figure è proprio l’aderenza ad una misura ideale (la sfera) che del resto connota la scultura, che noi definiamo classica. Nel 2007 Botero arriva ad affrontare anche il tema del circo, tematica immancabile per un artista che desidera esprimere attraverso la vivacità, l’ottimismo e i colori forti. Oli e disegni che rappresentano una umanità per molti versi alienata, triste, nonostante Botero sia un grande appassionato del circo. Il merito di questo ciclo è quello di offrirci un’umanità diversa dalle solite scene di clown e domatori. Sono quasi tutti personaggi in posa, dallo sguardo triste, persino il clown.

Ancora oggi il circo conserva quell’aria romantica e quella sensazione di tristezza nostalgica tipica della vita, tanto che può essere considerato metafora stessa della vita. È un universo di simboli che ruota attorno ad un grande tendone rosso, cuore pulsante di un villaggio itinerante che regala sogni, illusioni e sprezzo del pericolo. Dal trapezista con il sogno di volare al giocoliere che rincorre la velocità, dalla scaltra virilità del domatore alla cavallerizza che si dondola in un tripudio di sensualità e dominio. Il circo vive nella contraddittorietà del suo doppio. Spettacolo e vita, rigore e anarchia, professionismo e dilettantismo. È per questo motivo che il mondo del circo ha da sempre esercitato sugli artisti un fascino così irresistibile da farne oggetto delle loro opere d’arte.

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